Terremoto nel Partito Democratico pesciatino. Nicola Romagnani si è dimesso da segretario del circolo Pescia centro. Ecco le sue motivazioni.

”Non mi sono iscritto al PD, nel 2013, per ritrovarmi in un partito che non sa distinguere tra un indagato, un imputato e un colpevole. L’anno scorso, la maniera in cui il mio partito, dal livello regionale a quello locale, ha scaricato così velocemente e in tal malo modo il suo Sindaco, in quel momento travolto da un dramma anche personale, è stato assurdo; umanamente, gravissimo e rivoltante; politicamente, intempestivo e ingiusto; in generale, da veri perdenti.
I cittadini, evidentemente, questa cosa l’hanno ben capita. E a verificare l’eventuale rilevanza penale degli atti di Oreste Giurlani ci penserà un giudice, che ha l’autorità e i mezzi per farlo.

Al PD di Pescia non rimane che tacere, come ormai fa da più di un anno, di fronte alla propria crescente irrilevanza. Come segreteria dell’Unione Comunale, l’ultimo risultato elettorale è stato un oggettivo e inedito fallimento: aver portato al 12% – addirittura sotto 1.000 voti – la principale forza di governo della città è un fatto che non potrà rimanere senza conseguenze. A cascata si sono dimessi, dopo il 4 marzo, Matteo Renzi, Dario Parrini e l’incolpevole Riccardo Trallori. Tutti l’hanno fatto subito e con grande generosità. Ma la valanga di responsabilità, partita da Roma e passata per Firenze e Pistoia, inspiegabilmente a Pescia si è fermata.
Quattro mesi per convocare un’assemblea nazionale che eleggesse l’imbarazzante successore di Renzi; altrettanti sono serviti al PD Toscana (per non riuscirci nemmeno); il provinciale: non pervenuto. Reggenze che si trovano a reggere argini elettorali per i quali non sono attrezzate, specializzate solo in rinvii, utili – come ha detto Roberto Giachetti all’assemblea nazionale del 7 luglio – a decidere solo dopo che si sarà saputo come andrà a finire. Così, se per caso rischiasse di andare come non deve, basterà rimandare ancora tutto, in un eterno gioco dell’oca. Sempre Giachetti dice che questo è un partito che non trova il coraggio di buttarsi in mare aperto e di fare quello che dovrebbe fare: consegnarsi al suo popolo, per farlo scegliere. Chiamate questo passaggio primarie, congresso, rottamazione, ripartenza, costituente, chiamatela come volete (io so solo che non voglio più un partito in cui Dario Franceschini è sempre in maggioranza). Con malriposta coerenza, anche a Pescia si è dunque preferito accomodarsi nella comfort zone dell’unitarietà; tradotto: non ci metto la faccia e non scelgo, così nessuno poi mi verrà a cercare.

Nei primi mesi del 2018 ho condotto una battaglia che non dovrebbe essere più nemmeno condotta: la battaglia per le primarie. Non quella per essere io il prescelto come candidato a Sindaco di Pescia, ma quella per avere almeno la possibilità di provarci.
Per mesi, da novembre 2017 a maggio scorso, la dirigenza del PD ha pervicacemente cercato improbabili candidati unitari che tali non potevano essere (lo sapevano tutti), coinvolgendo profili di ogni tipo, alcuni ben oltre il limite del ridicolo (nel merito e nel metodo). L’unità del partito è stata la foglia di fico usata per nascondere pudicamente ciò che non si doveva vedere, né si poteva dire: che eravamo – e tuttora rimaniamo – già divisi, primarie o no!
Com’è andata a finire? Con un candidato che, riluttante per sua stessa ammissione, non convinceva nessuno. Dei famosi 47 della direzione comunale, solo in 15 lo hanno votato: più che una candidatura, una sentenza di condanna!
Io non ho potuto fare altro che esprimere tutto il mio disagio, astenendomi in assemblea e rifiutando di accettare una candidatura in lista. Non solo perché non ho condiviso l’esito del percorso che ci aveva portato fin lì (e il percorso medesimo), ma perché l’ho proprio ritenuto, dall’inizio a oggi, dannoso, insensato e, per alcuni aspetti, probabilmente anche statutariamente illegittimo (per dirne una: ma chi avrebbe deliberato di costituirsi parte civile contro Giurlani, ultimamente, a nome del PD?); in cambio, ho ricevuto minacce fisiche (tempestivamente segnalate a tutti i livelli, ma, a oggi e per quanto io ne sappia, ancora bellamente ignorate) e politiche (ipotesi di deferimento a organismi di controllo interni, come se essere minoranza fosse una colpa): ma che partito vogliamo essere? Perché qui, di democratico, c’è rimasto davvero pochino…

Dopo il ballottaggio, che ha portato nuovamente Giurlani in Comune, ho lasciato che passassero alcune settimane, in attesa che il mio partito si desse una mossa e convocasse una riunione in cui discutere di ciò che era successo. Niente: tutto drammaticamente fermo.

Ma io voglio comunque mantenere intatta la forza della mia contrarietà, se e quando serve; e voglio il lusso della libertà. Per questo motivo, mercoledì scorso mi sono dimesso da Segretario del Circolo PD Pescia Centro.

L’ho fatto per coerenza. Auspicando che il mio gesto suoni come una chiamata alla scelta, alla decisione e al coraggio per coloro che portano tutta la responsabilità di questo disastro, coloro che hanno pensato di equiparare il centrodestra leghista a un centrosinistra civico, sostenendo un’insensata non-scelta che, come per l’asino di Buridano, ha portato il PD alla morte.
Con mio rammarico sulla scheda del 24 giugno non c’era il candidato del PD: questa possibilità era stata bocciata. Ma gli elettori del PD conservavano il loro pieno diritto (e la loro voglia) di fare una scelta. E l’hanno fatta. Una scelta gli (ex) elettori del PD l’avevano già fatta al primo turno, ce lo dicono i numeri: coloro che avevano votato PD alle politiche del 4 marzo, il 10 giugno hanno preferito in massa Oreste Giurlani al nostro candidato, bocciandone senza appello candidature e linea politica. Era a tutti evidente, meno che a loro, la continuità programmatica tra la proposta odierna di Giurlani e la sua passata amministrazione, espressione quasi monocolore del PD (Sindaco, giunta e maggioranza consiliare). Tutte le scelte del primo Giurlani sono state scelte del PD, portate avanti – pur nella dialettica interna – da molte delle stesse persone che tuttora guidano il partito locale e che con esso – anche se in maniera fallimentare – si sono anche candidate.

Con disagio crescente ho aspettato le analisi post-4 marzo, il primo turno, il nuovo governo, il ballottaggio, il nuovo segretario nazionale, la convocazione del primo consiglio comunale. Ma invano. Rimango comunque nel partito, ma mi faccio da parte. Ci rimango a zero ore, da militante, solo per vedere se prima o poi tornerà a somigliare al mio PD.
In ogni caso, da domani si ricomincia a fare politica!”.

 

 

Fonte : Il Cittadino Pescia