Il sig. Lorenzo Puccinelli Sannini, segretario dell’associazione Destra Domani, ci invia questo articolo che volentieri pubblichiamo :

“I resti di quella che fu una Nazione democratica emigrano, in massa e senza speranza di ritorno, da un paese che li ha costretti all’esilio.
Parafrasando il celebre proclama della vittoria nella Grande Guerra, voglio invece scrivere della sconfitta subita dalla parte migliore della popolazione italiana ad opera di una scellerata classe politica che, succube di una cupola internazionale economico-mafiosa, per difendere ad ogni costo i propri privilegi, ha accettato di distruggere la democrazia.
Scrive Ida Magli: <>.
E’ dal sedici di novembre del 2011 che in Italia una vera democrazia non esiste più, da quando il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi fu indotto, dopo lunga e segreta congiura portata avanti da Napolitano e Monti in cui il secondo ebbe in premio per la sua disponibilità una poltrona senatoriale a vita, a compiere il famigerato “passo indietro” pur non avendo subito alcun voto di sfiducia.
E insieme alla democrazia se n’è andata anche la speranza, la speranza che in questo sciagurato paese vi fosse ancora posto per chi desiderasse creare impresa in maniera pulita, per chi volesse e fosse in grado di fare ricerca in qualsiasi campo dello scibile, per chi aspirasse a vivere del proprio onesto lavoro ( io sono uno scrittore, ma se non scrivo qualcosa di politically correct, non venderò mai un libro), per chi avesse voglia di percepire in santa pace il frutto dei propri sudati investimenti sia finanziari che immobiliari, per chi infine, dopo una lunga vita lavorativa, sperasse di trascorrere in tranquillità gli ultimi anni della propria esistenza.
Non c’è da stupirsi quindi che chi può lasci questo paese. Ma vi siete mai chiesti chi sono i nuovi emigranti ? Sono i piccoli e medi imprenditori che trasferiscono le loro imprese in luoghi dove le aziende sono in grado di sopravvivere e magari prosperare, i giovani desiderosi di affermarsi in proprio, i neo-laureati che vogliono iniziare una brillante carriera professionale, senza tralasciare i pensionati che in Italia sono già moribondi. In sostanza sono coloro che hanno sempre prodotto posti di lavoro, che hanno sostenuto il mercato interno, che hanno generato gettito fiscale, in ultima analisi coloro che hanno sempre rappresentato il motore economico della nazione.
E perché se ne vanno? Perché chi li doveva rappresentare e proteggere politicamente non esiste più. Le forze di centro destra hanno gettato la spugna, sottomettendosi volontariamente agli avversari; si sono frammentate, divise e combattute l’un l’altra, tradendo oltre tutto i propri elettori (vedi Alfano e C.). Come se non bastasse, il principale responsabile di questa disfatta incondizionata, invece di ritirarsi a vita privata in qualche paradiso caraibico, insiste ad imporre la propria ingombrante ed ormai controproducente presenza sul proscenio politico, ostacolando quindi una possibile alleanza fra gli spezzoni superstiti della destra che, una volta unitisi, potrebbero esprimere un programma comune e partorire nuovi leaders.
Assistiamo quindi al predomino incontrastato di un’unica corrente politica, il cui leader, forte del proprio ruolo istituzionale, continua ad illudere gli italiani che, grazie alle sue riforme, si veda già la luce in fondo al tunnel: mentre queste “illuminate” riforme hanno il solo scopo di solidificare il potere dei partiti, o meglio, del suo partito e niente hanno a che vedere con le urgenti necessità ed i veri interessi della popolazione.
Afferma nel suo ultimo articolo l’economista Eugenio Benettazzo: << [......] E non pensate che chi fa impresa si mette a gongolare per il nuovo senato, per la nuova legge elettorale o per l'abolizione delle provincie. L'Italia ormai non la cambi con le leggi, i decreti, il confronto dialettico o le tavole rotonde con le parti sociali. Con l'attuale assetto costituzionale non farete altro che procrastinare la morte per asfissia economica ed imprenditoriale. Il paese adesso si può cambiare solo con la violenza o con l'abolizione di numerosi diritti costituzionali, come tra l'altro è già accaduto in passato: episodi di terrorismo che obbligano a virare per scelte un tempo impopolari o per manifestazioni di piazza che per dimensioni e irruenza non vediamo da decenni. […..] >>
Incurante del destino che attende la nazione da lui guidata, il mio illustre compaesano, non più tardi di stamani, ha proclamato in un paio dei suoi innumerevoli tweets: “l’Italia riparte, non ci fermiamo” “Un abbraccio a gufi e sorci verdi”. Ovviamente i suoi parlamentari, sfiniti dalla maratona notturna (taluni già dormivano durante la lunga notte accasciati sugli scranni della camera) non hanno ancora recepito il succo dei messaggi. Gli italiani poi, distratti dalle serate sanremesi, si stanno chiedendo per quale ragione il loro presidente del consiglio abbia sviluppato improvvisamente questo straordinario affetto per gli animali.
Il contesto sarebbe comico se non fosse invece tragico. Quando l’intera opposizione abbandona per protesta il parlamento ed il partito di maggioranza relativa continua imperterrito il suo percorso legislativo, vedo uscire dai palazzi del potere ectoplasmi di un tempo che fu. Immagini sfocate di individui indossanti camicie scure e alti stivali di cuoio. Del resto, se fate mente locale, anche le barzellette del nostro premier negli ultimi giorni sembrano pronunciate con vago accento tribunizio.
E allora rassegnamoci a dire addio al regime democratico; del resto c’è chi ha definito la democrazia come la forma di governo “meno dannosa”. Meglio sarebbe una dittatura illuminata che probabilmente rappresenterebbe l’unica possibile salvezza del nostro paese. Peccato che la storia di totalitarismi che siano stati illuminati dal principio alla fine, ce ne abbia tramandati ben pochi.
Ed infine è d’obbligo un’ultima riflessione. Quando la democrazia ci abbandona non se ne va da sola. Porta sempre con se un’altra cosa, uno di quei valori che, goduto ormai da tanto tempo, stentiamo oggi a riconoscere. Ci porta via la Libertà”.

(scritto domenica 15 febbraio 2015)
Lorenzo Puccinelli Sannini

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