Il prof. Carlo Vivaldi Forti, presidente dell’associazione Italia Domani, ci invia questo interessante articolo, che volentieri pubblichiamo, augurandovi una buona lettura:

La polemica estiva sul referendum ha confermato, caso mai ve ne fosse bisogno, la confusione che regna nel mondo politico in riferimento alle cosiddette riforme costituzionali. Essa affligge non soltanto la maggioranza, cosa di cui nessuno avrebbe dubitato data l’improvvisazione e mutevolezza di umori di personaggi quali Renzi e la Boschi , ma anche gran parte dell’opposizione, che si tratti dell’appello al NO di Grillo, fondato essenzialmente sull’istinto e sulla fisiognomica , ovvero le ricette di Stefano Parisi, che pur indicando correttamente la necessità di riconsiderare l’intera Legge Fondamentale e non soltanto una sua parte, si perde poi nella descrizione di un Parlamento futuro addirittura peggiore di quello presente.
Secondo il probabile successore di Berlusconi, infatti, il Senato attuale andrebbe abolito, abbracciando perciò la tesi del monocameralismo. Neppure lui, però, giunge alle conseguenze logiche , seppur discutibili, di tale scelta, ipotizzando la sopravvivenza di un simulacro di Camera Alta, espressione delle Regioni, sul modello del Bundesrat tedesco, il cui ruolo si limiterebbe ai problemi di competenza locale. Inoltre, propone di rafforzare i poteri del Premier e di ridurre almeno di un terzo il numero dei deputati, peraltro eletti interamente dai partiti sulla base di una legge elettorale da definire.
Con tutto il rispetto che un imprenditore serio e di successo , come l’ex-candidato sindaco di Milano merita, non mi sembra di rilevare in queste affermazioni una specifica preparazione in materia di costituzionalismo, e neppure un adeguato approfondimento delle cause che tengono lontani i cittadini dalla politica, le quali non sono né l’esistenza di due rami del Parlamento, né il numero dei loro membri e neppure la presunta debolezza del Presidente del Consiglio, ma la crisi del principio stesso di rappresentanza. Questa trae origine dall’enorme e sempre crescente distanza che divide il Paese legale dal Paese reale.
I cittadini, cioè, non si sentono più rappresentati dai propri eletti, non importa se di destra, di centro o di sinistra. E poi, che senso ha formulare ancora tali distinzioni quando vediamo i parlamentari di una parte che sempre più spesso si vendono cinicamente all’avversario, tradendo in modo sfacciato e senza vergogna il mandato ricevuto? Forse gli elettori di personaggi tristemente noti quali Verdini, Alfano, Cicchitto, Fini, Casini e compagni, avevano spedito costoro in Parlamento perché appoggiassero esecutivi comunisti o paracomunisti? Come si può pretendere che il cittadino medio , non impegnato in politica, torni volentieri alle urne, una volta truffato così spudoratamente? Il rimedio a tutti questi mali, che affondano le proprie radici nel malcostume della classe dirigente, sarebbe abolire il Senato, ridurlo a Camera delle Regioni o rafforzare l’autorità del Capo del Governo?
La crisi della rappresentanza, che ormai fa tutt’uno con quella della democrazia , esige rimedi ben più drastici e totalmente diversi. Il nodo principale è sottrarre il monopolio del potere ai partiti. Questi, anche se trovano riconoscimento nella Costituzione del 1948, sono oggi diventati preda dei poteri forti al soldo della mafia finanziaria globale, che se li sono divorati a suon di corruzione. Qualunque ritocco alla Legge Fondamentale che non affronti tale aspetto è destinato a restare puramente cosmetico e perciò inefficace. Più volte ho indicato le possibile soluzioni alla drammatica crisi di governabilità in atto: doppia rappresentanza, partitica e di competenze socio-economiche; elezione diretta del Capo dello Stato e rafforzamento dei suoi poteri; legge elettorale moderatamente maggioritaria alla Camera , con premio alla coalizione e non al singolo partito, e delega ai rappresentanti della società civile al Senato, con facoltà di revoca immediata della stessa, senza attendere le scadenze elettorali previste, qualora il mandatario agisca in modo difforme dagli impegni presi con i propri mandanti.
Nel caso in cui un cambiamento imprevisto delle circostanze richieda provvedimenti diversi dal mandato ricevuto, il delegato deve spiegarne le ragioni agli elettori e trovare con loro un nuovo accordo. In caso contrario deve dimettersi e cedere il posto ad altro rappresentante. Il flusso decisionale, in un sistema autenticamente partecipativo, procede dal basso verso l’alto e non viceversa. Questo, piaccia o meno, è il solo modo per restituire al popolo quella sovranità che i poteri forti gli hanno truffaldinamente sottratto. Se i nostri dirigenti o aspiranti tali possedessero maggior cultura e buon senso, ricorderebbero che l’istituto della doppia rappresentanza, politica e sociale, appartiene alla più genuina tradizione del diritto romano, con l’assemblea dei Comizi (suddivisi in curiati, centuriati e tributi , similmente agli Stati Generali di Francia) espressione della società civile, e dal Senato, organo politico composto dall’élite cittadina. La soluzione monocamerale, qualora si preferisca, non è incompatibile con la doppia rappresentanza, a condizione però che metà della Camera sia eletta con il primo criterio e metà con il secondo. Ma a che pro scomodare la storia , largamente ignorata o volutamente snobbata dai semianalfabeti che ci comandano?
I problemi istituzionali, per quanto gravi e d’attualità, non rappresentano tuttavia che una esigua minoranza delle questioni oggi sul tappeto, dalla cui soluzione dipende il nostro avvenire. La disaffezione verso la politica e il parallelo espandersi della cosiddetta antipolitica, dipendono dalla completa mancanza di una visione del mondo in grado d’affrontare la crisi della società contemporanea e d’inquadrarla in parametri organici e coerenti. I partiti, nessuno escluso, appaiono accomunati dalla più totale incapacità di rispondere alle domande di senso e di scopo che emergono, consapevolmente o meno, nell’opinione pubblica. Essi discutono e si dilaniano a causa delle differenze programmatiche, peraltro esigue , che li caratterizzano, ma sono ben lungi dall’elaborare progetti alternativi di società e di Stato, la sola prospettiva di cui ci sarebbe invece urgente bisogno. I nostri politici cercano invano risposte salvifiche nella statistica, nell’econometria e negli indici di Borsa, scambiando in modo scandaloso gli effetti per le cause.
Se vogliamo tentar di salvare l’Italia e l’Europa, ammesso che sia ancora possibile, occorre riscoprire la cultura che le hanno rese grandi, le cui fondamenta sono la filosofia, la scienza e l’arte greche, il diritto romano, la mirabile sintesi fra mondo classico e mondo germanico operata dal Cristianesimo, la spiritualità medioevale, le glorie del Rinascimento, l’Idealismo tedesco , l’Illuminismo, il Romanticismo, fino alle migliori produzioni dell’epoca moderna. Del nostro passato più recente fanno inoltre parte discipline come la Psicoanalisi, la Relatività di Einstein e la Fisica quantistica , sugli orientamenti delle quali è legittimo discutere e nutrire dubbi, ma che non possono essere ignorate.
In campo strettamente sociologico , come sottovalutare poi i contributi del Positivismo e del Liberalismo ottocenteschi, della storiografia scientifica inclusa quella d’ispirazione marxista, ma anche di grandi autori cattolici come de Maistre , de Bonald, Taparelli d’Azeglio, La Tour du Pin , Toniolo, von Ketteler e tanti altri a cui dobbiamo la concezione neoaristotelica dell’uomo come animale sociale per natura e della comunità organica, origine del pensiero corporativo che caratterizzerà, sia pure in un’applicazione ampiamente discutibile , la stessa politica sociale del Fascismo?
Questo è il nostro passato, e ciascuna delle teorie ricordate occupa uno spazio preciso nella continuità storica del nostro mondo. L’Italia e l’Europa hanno prosperato e sono progredite , civilmente ed economicamente, finché sono state governate da movimenti politici che ad esse s’ispiravano. Vale la pena ricordare che la ricostruzione post-bellica e il miracolo economico sono stati opera di partiti come la DC italiana, la CDU-CSU tedesca, l’ UNR gollista in Francia, dal lato dei governi. Quanto alle opposizioni, i partiti socialisti, comunisti e di destra , come per esempio il MSI, hanno fornito il loro contributo bensì dissonante, ma creativo e quindi utile, alla costruzione del nuovo edificio.
Tale dialettica democratica si è purtroppo interrotta dopo il crollo dell’impero sovietico, quando la pretesa morte delle ideologie , creando uno spaventoso vuoto culturale e morale, ha spalancato le porte del potere alla mafia finanziaria globalizzata, ai corrotti d’ogni risma e ai pigmei della politica, che hanno rimpiazzato i giganti di un tempo. Tale vuoto è pure la causa dell’estrema degenerazione del sistema , di cui l’immigrazione selvaggia e la vergognosa capitolazione di fronte alle nuove invasioni barbariche rappresentano solamente gli effetti più visibili.
Se vogliamo che il nostro Paese e l’Europa si salvino, urge la nascita di una nuova cultura e di una visione del mondo adeguata all’epoca in cui viviamo, che possa rappresentare l’avvio di una politica diversa e favorire il sorgere di movimenti politici alternativi , la cui credibilità si basi non sull’elaborazione di vuoti programmi elettorali ma sul progetto globale di una società che , nel rispetto della tradizione storica, sia in grado d’infondere fiducia fin nei cittadini più scettici e disorientati, in grado di suscitare nuove ondate d’entusiasmo, capaci di produrre l’energia necessaria e sufficiente all’opera di ricostruzione che oggi s’impone.

Prof. Carlo Vivaldi Forti